Il prezzo del petrolio sale dopo l’attacco di Israele all’Iran

I prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 7% questa mattina dopo i raid aerei di Israele contro l'Iran. Gli attacchi hanno aumentato significativamente l'incertezza geopolitica e impongono al mercato petrolifero di valutare un premio di rischio più elevato per eventuali interruzioni dell'approvvigionamento. 

Israele attacca l'Iran

Israele ha iniziato a condurre attacchi contro impianti nucleari iraniani e obiettivi militari.

I raid israeliani arrivano mentre da settimane Stati Uniti e Iran stanno conducendo colloqui sul nucleare. Certo, ultimamente sembrano esserci stati pochi progressi in queste discussioni, con entrambe le parti molto distanti. Tuttavia, i colloqui erano destinati a proseguire questo fine settimana. Dopo questi ultimi sviluppi, non è chiaro se continueranno. Va ricordato che gli Stati Uniti hanno dichiarato di non essere stati coinvolti negli attacchi.

Si tratta di un'escalation significativa, diversa dagli attacchi a cui abbiamo assistito l'anno scorso, che hanno risparmiato i siti nucleari iraniani. Questi attacchi porteranno certamente a una qualche forma di ritorsione da parte dell'Iran contro Israele. L’escalation non farà altro che generare ulteriore incertezza e aumentare il rischio di interruzione delle forniture energetiche regionali.

Sebbene non vi siano segnalazioni di interruzioni nell'approvvigionamento di petrolio, il mercato deve iniziare a valutare un premio di rischio più elevato.

Quanta fornitura di petrolio è a rischio?

L'Iran è un produttore di petrolio significativo, con una produzione giornaliera di 3,3 milioni di barili di greggio e un'esportazione di circa 1,7 milioni di barili. In uno scenario di ulteriore escalation, non è troppo difficile immaginare una situazione di interruzione delle forniture da parte di Teheran.

L'impatto che gli attacchi israeliani all’Iran avranno sul mercato petrolifero dipenderà da quali asset verranno colpiti tra downstream, midstream e upstream. Un impatto su questi ultimi avrebbe un peso maggiore sul mercato globale, mettendo a rischio fino a 1,7 milioni di barili al giorno di offerta per l'export. Ciò sarebbe sufficiente a far passare il mercato petrolifero da un surplus nella seconda metà di quest'anno a un deficit. Inoltre, provocherebbe alcune revisioni dei prezzi al rialzo piuttosto aggressive. Questo scenario potrebbe vedere il Brent salire a 80 dollari al barile, anche se riteniamo che i prezzi si stabilizzeranno probabilmente intorno ai 75 dollari al barile. Molto dipenderà dalla risposta nell'offerta che vedremo da altri produttori.

Il rischio dello Stretto di Hormuz

In uno scenario di continua escalation, sussiste il rischio di interruzioni del trasporto attraverso lo Stretto di Hormuz, tra il golfo di Oman e il Golfo Persico. Ciò avrebbe un impatto sui flussi di petrolio provenienti dal Golfo Persico. Quasi un terzo del commercio mondiale di petrolio via mare passa attraverso lo Stretto di Hormuz. Sebbene una parte dei flussi di petrolio potrebbe essere deviata per evitare il passaggio, rimangono comunque a rischio circa 14 milioni di barili al giorno di approvvigionamento petrolifero. Un'interruzione significativa di questi flussi sarebbe sufficiente a far salire i prezzi a 120 dollari al barile. Se le interruzioni dovessero persistere verso la fine dell'anno, potremmo vedere il Brent raggiungere nuovi massimi storici, superando il massimo storico di quasi 150 dollari al barile visto 2008.

Eventuali interruzioni del trasporto attraverso lo Stretto di Hormuz avrebbero un impatto significativo anche sul mercato globale del GNL. Il Qatar, che rappresenta circa il 20% del commercio globale di questo tipo di gas, utilizza questa rotta per le proprie esportazioni. E, purtroppo, non esiste una rotta alternativa. Ciò renderebbe il mercato globale del GNL estremamente teso, con un conseguente aumento significativo dei prezzi del gas in Europa.

Come compensare eventuali carenze di approvvigionamento?

Qualsiasi significativa interruzione dell'approvvigionamento potrebbe far aumentare significativamente i prezzi del petrolio. Ciò farebbe probabilmente sì che i governi di tutto il mondo attingano alle proprie riserve strategiche di petrolio. Il che dovrebbe ovviamente essere guidato dagli Stati Uniti, che dispongono di oltre 400 milioni di barili di greggio nel loro SPR.

L'altra soluzione sarebbe che l'OPEC attingesse alla sua capacità produttiva inutilizzata. L'OPEC ha una capacità produttiva non sfruttata di oltre 5 milioni di barili al giorno e, nonostante stia già ripristinando la fornitura, un'interruzione dell'approvvigionamento iraniano potrebbe spingere l’organizzazione ad accelerare questo processo.

Va però notato che, sebbene l'OPEC possa fornire una protezione al mercato in caso di perdita dell'approvvigionamento petrolifero iraniano, la situazione diventa più difficile se le tensioni si espandono. La maggior parte della capacità produttiva inutilizzata si trova nel Golfo Persico. Pertanto, in caso di interruzioni nei flussi di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz, questa capacità produttiva inutilizzata sarà di scarso aiuto per il mercato petrolifero globale. Data l'importanza dello Stretto, qualsiasi interruzione porterebbe a una risposta più coordinata a livello globale per garantire che i flussi di energia in questo collo di bottiglia non subiscano gravi interruzioni.

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