Israele attacca l’Iran: cosa succede ora ai mercati e gli effetti sulle banche centrali

Un'ulteriore escalation delle tensioni tra Iran e Israele potrebbe portare i prezzi del petrolio sopra gli 80 dollari, con un conseguente ulteriore rialzo del dollaro. Era già probabile che la Federal Reserve mantenesse i tassi invariati per tutto il terzo trimestre e gli ultimi sviluppi non fanno che rafforzare questa ipotesi  

Cosa è successo tra Israele e Iran

Israele ha lanciato attacchi coordinati contro i principali impianti nucleari e missilistici balistici dell'Iran, prendendo di mira anche comandanti di alto rango del corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) ed esperti di energia nucleare. In risposta, l'Iran ha reagito lanciando circa 100 droni verso il territorio israeliano e segnando una significativa escalation delle ostilità in Medio Oriente. Israele ha dichiarato lo stato di emergenza, definendo gli attacchi di oggi “preventivi” e preannunciando ulteriori operazioni.

Sebbene gli Stati Uniti non siano stati direttamente coinvolti, l'Iran ha accusato Washington di complicità e potrebbe prendere di mira le risorse americane nella regione. In precedenza, gli Stati Uniti avevano limitato l'azione israeliana nel contesto dei negoziati nucleari in corso, ma tali colloqui ora sembrano in stallo. Allo stesso modo, i rischi per la sicurezza marittima sono aumentati nello Stretto di Hormuz, nel Golfo Persico e nelle acque circostanti, punti critici per il commercio globale di petrolio e GNL. Sebbene le infrastrutture energetiche non siano ancora state prese di mira, la minaccia di futuri attacchi potrebbe interrompere le catene di approvvigionamento e far salire ulteriormente i prezzi. È altrettanto probabile che qualsiasi restrizione al commercio marittimo abbia implicazioni a lungo termine qualora Teheran dovesse determinare che un blocco di questo tipo è un metodo di ritorsione efficace che evita di colpire direttamente le risorse statunitensi nella regione.

Nel frattempo, la recente bocciatura dell’Iran da parte dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) ha ulteriormente isolato Teheran diplomaticamente. L'Iran si trova ora di fronte a una scelta cruciale: perseguire sulla strada della creazione di armi nucleari, con un'arma potenzialmente realizzabile entro pochi mesi, o tornare ai negoziati sotto il peso di severe sanzioni economiche. Il primo caso altererebbe significativamente l'equilibrio regionale e quasi certamente innescherebbe un intervento militare statunitense.

Con la probabilità di ulteriori attacchi israeliani, è improbabile che i droni possano essere la risposta definitiva di Teheran. L’Iran deve valutare la necessità di riaffermare la deterrenza, tenendo conto di una rete di alleati indebolita, e del rischio di provocare una guerra più ampia con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Sebbene quanto visto in passato suggerisca che l'Iran potrebbe in ultima analisi ridurre l'escalation per preservare la stabilità del regime, la situazione rimane altamente instabile.

L'impatto sui mercati energetici e l’escalation della guerra Israele-Iran

Un elevato livello di incertezza geopolitica impone ai mercati energetici di prezzare un elevato premio di rischio, date le potenziali interruzioni dell'approvvigionamento. Gli attacchi all'Iran hanno inizialmente impresso ai prezzi del petrolio aumenti del 13%, sebbene i mercati abbiano poi ceduto parte di questi guadagni. In assenza di vere interruzioni dei flussi di petrolio iraniano, sospettiamo che il rally continuerà a esaurirsi. Tuttavia, il mercato dovrà prezzare un premio di rischio maggiore rispetto a prima degli attacchi, almeno nel breve termine. Ci aspettiamo che il Brent troverà un equilibrio tra i 65 e i 70 dollari al barile.

Qualsiasi escalation che porti a un'interruzione dei flussi di petrolio iraniano spingerà i prezzi verso l’alto. L'Iran produce circa 3,3 milioni di barili al giorno di greggio ed esporta nell'ordine di 1,7 milioni di barili al giorno. L’esclusione di questa offerta dalle esportazioni eliminerebbe il surplus petrolifero inizialmente previsto per il quarto trimestre di quest'anno e spingerebbe i prezzi verso gli 80 dollari al barile. Tuttavia, riteniamo che i prezzi si stabilizzeranno infine in un intervallo tra i 75 e gli 80 dollari al barile. L'OPEC dispone di 5 milioni di barili al giorno di capacità produttiva non sfruttata. Quindi eventuali interruzioni dall’Iran potrebbero indurre l’organizzazione a reintrodurre tale offerta sul mercato prima del previsto.

Uno scenario più grave si verificherebbe se l'escalation portasse a un'interruzione del trasporto marittimo attraverso lo Stretto di Hormuz. Ciò potrebbe avere un impatto sui flussi di petrolio dal Golfo Persico, da cui passa circa un terzo del commercio mondiale di petrolio via mare. Un'interruzione significativa di questi flussi sarebbe sufficiente a far salire i prezzi a 120 dollari al barile. In questo caso, la capacità produttiva inutilizzata dell'OPEC non aiuterebbe il mercato, dato che la maggior parte di essa si trova nel Golfo Persico. In questo scenario, avremmo bisogno che i governi attingano alle loro riserve strategiche di petrolio. Una soluzione che non può non essere temporanea. Pertanto, sono necessari prezzi significativamente più alti per affievolire la domanda.

Questa escalation ha ripercussioni anche sul mercato europeo del gas. Tuttavia, per vedere i prezzi del gas aumentare significativamente, dovremmo assistere allo scenario peggiore: quello dell’interruzione dello Stretto di Hormuz. Il Qatar è il terzo maggiore esportatore di GNL, responsabile di circa il 20% del commercio globale. Fornitura che passa interamente attraverso lo Stretto. Il mercato globale del GNL è attualmente in equilibrio, ma eventuali interruzioni lo porterebbero in deficit e aumenterebbero la concorrenza tra acquirenti asiatici ed europei.

Guerra Israele-Iran: l’impatto sul petrolio e la reazione delle banche centrali

L'impennata dei prezzi del petrolio minaccia di stravolgere l'attuale scenario relativo all'inflazione statunitense, che si è dimostrato più favorevole del previsto nonostante i dazi. Finora, l'inflazione dei beni è rimasta notevolmente contenuta, mentre le pressioni sui prezzi dei servizi, che rappresentano i tre quarti del paniere dell'indice CPI core, hanno iniziato ad attenuarsi.

Riteniamo che questa situazione non possa durare a lungo. Le scorte potrebbero aver permesso alle aziende di rinviare la decisione di aumentare i prezzi, ma non sarà così ancora per molto. Ci aspettiamo picchi più consistenti nei dati sull'inflazione mensile per tutta l'estate. Il recente Beige Book della Fed ha citato diffuse segnalazioni di rincari più aggressivi previsti entro tre mesi. L'aumento dei prezzi del petrolio non fa che aggravare la situazione.

Dieci anni fa, le banche centrali, inclusa la Federal Reserve, avrebbero considerato un picco del prezzo del petrolio come un fattore accomodante per i tassi di interesse. La crescita più debole in genere compensava le preoccupazioni relative a un picco di breve durata dell'inflazione. Ma questo atteggiamento è cambiato considerevolmente dopo la pandemia da Covid. In Europa, il picco dei prezzi del gas naturale e del petrolio del 2022 ha alimentato una ripresa duratura dell'inflazione nel settore dei servizi. I funzionari della Federal Reserve e della Banca d'Inghilterra hanno messo in guardia contro un simile circolo vizioso che si sta delineando oggi. La Banca dei Regolamenti Internazionali ha avvertito le banche centrali che sarà più difficile limitarsi a ignorare gli shock dell'offerta.

Questi timori potrebbero essere esagerati. Sia durante la pandemia che durante lo shock dei prezzi dell'energia del 2022, il contesto economico più ampio era favorevole alla salita dell'inflazione. In entrambi i casi, i governi hanno offerto un sostanziale sostegno fiscale per compensare l'impatto, un compito reso oggi molto più arduo dall'aumento dei tassi di interesse e dall'instabilità dei mercati finanziari. Anche il mercato del lavoro era considerevolmente più forte. Nel 2022, c'erano due posti di lavoro vacanti per ogni lavoratore statunitense. Ora ce n'è solo uno, al di sotto dei livelli pre-pandemici. Le possibilità di una ripresa della crescita salariale sono più limitate.

L'aumento dei prezzi del petrolio riduce chiaramente le probabilità che la Federal Reserve tagli i tassi nel terzo trimestre. Avevamo valutato che tali probabilità fossero diminuite nelle ultime settimane. Ma entro la fine dell'anno, riteniamo che l'impatto dei dazi sull'inflazione inizierà a scemare e che la disinflazione nel settore dei servizi avrà accelerato. Allo stesso tempo, l'impatto economico della guerra commerciale statunitense sarà diventato più evidente in ambiti come la disoccupazione. Prevediamo che il primo taglio dei tassi da parte della Fed avverrà nel quarto trimestre, potenzialmente a partire da un taglio di 50 punti base a dicembre. Una rapida serie di tagli potrebbe portare i tassi al 3,25% entro la metà del 2026.

Questi sviluppi complicano ulteriormente la vita anche alla Banca Centrale Europea. L'inflazione nell'Eurozona è rimasta contenuta negli ultimi mesi grazie alla diminuzione dei prezzi dell'energia. Ora la situazione rischia di cambiare. E l'aumento dei costi rappresenta un'ulteriore preoccupazione per il settore manifatturiero.

Si tratta dell’ennesimo colpo alla fiducia, già debole a causa dell’incertezza geopolitica ed economica a livello globale. I consumatori stanno risparmiando di più e le aziende stanno rinviando gli investimenti. Un'ulteriore escalation delle tensioni in Medio Oriente aggraverebbe questo sentiment negativo e peserebbe sulla crescita.

Se ciò dovesse accadere per un periodo prolungato, le prospettive dell'Eurozona diventerebbero di uno scenario di stagflazione. Uno scenario della BCE mostra che un aumento del 20% dei prezzi dell'energia potrebbe ridurre la crescita di 0,1 punti percentuali sia nel 2026 sia nel 2027. L'inflazione sarebbe rispettivamente di 0,6 e 0,4 punti percentuali più alta rispetto allo scenario base. Sebbene non ci troviamo ancora in rotta verso questa prospettiva, la BCE potrebbe avere difficoltà a reagire. La maggiore volatilità dei prezzi dell'energia significa che la BCE esaminerà ancora più attentamente l'inflazione core. Prevediamo un ulteriore taglio dei tassi da parte della BCE a settembre, anche se la Presidente Christine Lagarde sarà lieta di poter sfruttare la pausa recentemente annunciata per vedere come si evolve la situazione prima di decidere se tagliare i tassi al di sotto della soglia neutrale.

Escalation Israele-Iran: l’impatto sul mercato valutario

Il dollaro è risalito grazie agli sviluppi sul conflitto Israele-Iran durante la notte, ma è ancora lontano dal recuperare le perdite di inizio settimana. Riteniamo che l'impatto sul mercato azionario (i futures sulle azioni statunitensi sono in calo) stia frenando i guadagni del dollaro, poiché il biglietto verde ha ora modificato la sua sensibilità al sentiment di rischio.

Se le tensioni dovessero degenerare in un conflitto più ampio e i prezzi del petrolio dovessero aumentare ulteriormente, ci dovrebbe essere un maggiore margine di rialzo per il dollaro, che è già ipervenduto e fortemente sottovalutato nel breve termine. Tuttavia, il rally relativamente contenuto del dollaro di questa mattina è un'ulteriore dimostrazione del fatto che ha perso parte del suo status di bene rifugio, e che persiste una ostinata tendenza ribassista strutturale. Ciò è interamente dovuto a fattori interni statunitensi, quindi dubitiamo che un evento esterno (come le tensioni geopolitiche) possa riparare il danno arrecato al dollaro. Ci si aspetta un'intensa attività di acquisto sui ribassi dell'EUR/USD, in caso di qualsiasi indicazione di una de-escalation. Lo yen, a nostro avviso, rimane la copertura più interessante.

Attacchi di Israele sull’Iran, l’impatto sui tassi di mercato

Giovedì, i mercati avevano già reagito all'escalation delle tensioni intorno all'Iran, con i titoli di Stato tedeschi che hanno riaffermato il loro status di bene rifugio, iniziando a sovraperformare gli swap. In seguito alla notizia effettiva degli attacchi militari contro l'Iran, la reazione impulsiva del mercato alla fuga verso la sicurezza si è presto attenuata, lasciando spazio alle preoccupazioni sulle implicazioni di politica monetaria: l'appiattimento della curva dei tassi indica timori di stagflazione, così come l'aumento degli swap sull'inflazione a breve termine.

In un contesto più ampio, la reazione del mercato dei tassi rimarrà probabilmente moderata. Le politiche tariffarie, le preoccupazioni fiscali negli Stati Uniti e le prospettive di spesa nell'UE hanno già contribuito a creare un contesto incerto, e l'escalation in Iran non fa che aumentare il livello di incertezza. I mercati stanno ancora valutando un ulteriore taglio da parte della Banca Centrale Europea all'1,75%, sebbene abbiano iniziato a ridurre le probabilità che la BCE vada oltre. Tra quelli a lungo termine, il tasso swap a 10 anni è nuovamente salito leggermente sopra il 2,5%, pur rimanendo ampiamente entro i range recenti.

Impatto sui mercati del credito

Recentemente, i mercati del credito hanno assorbito e ignorato tutti i fattori di preoccupazione esterni. L'abbondante liquidità ha ridotto significativamente l'offerta, mentre gli spread si sono notevolmente ristretti, spesso raggiungendo i livelli più bassi di quest'anno. L'effetto sugli spread del credito dovrebbe quindi essere limitato, per il momento, poiché questo solido quadro tecnico continua a guidare gli spread, mentre i fattori esterni vengono ignorati. La reazione iniziale degli spread è un leggero allargamento, ma se queste tensioni geopolitiche non si intensificano, il mercato del credito può rapidamente tornare alla sua tendenza al restringimento.

Tuttavia, l'incertezza a lungo termine per i bilanci aziendali prevale, e l'aumento dei prezzi delle materie prime e l'inflazione incidono sui margini, un altro fattore negativo per il credito. I settori ciclici e manifatturieri hanno sovraperformato di recente, ma potremmo assistere a un ritorno di fiamma, con il continuo rafforzarsi delle ragioni per un orientamento più difensivo del credito.

Disclaimer di Contenuto
Questa pubblicazione è stata preparata da ING esclusivamente a scopo informativo, indipendentemente dai mezzi, dalla situazione finanziaria o dagli obiettivi di investimento di un particolare utente. Le informazioni non costituiscono una raccomandazione di investimento e non sono consigli di investimento, legali o fiscali né un'offerta o una sollecitazione all'acquisto o alla vendita di alcun strumento finanziario. Leggi di più